estratto

Estratto dal capitolo primo di
"LA QUIETE INDECENTE. Una storia gotica fra Venezia e i Carpazi"

Venezia,1896
'Immerso nei ricordi e nei pensieri, quasi non si accorse di essere gia’ alla fine della Riva degli Schiavoni; imboccó il viale alberato che collegava la riva con l’interno dell’area residenziale e subito si trovó presso l’ingresso del giardino antistante la Serra. Vi soffermó lo sguardo: la costruzione della struttura aveva coinvolto diversi operai della cittá, gente che lavorava il ferro e l’acciaio e che in quegli anni subiva la forte crisi del proprio settore. La volontá di costruire la serra con quei materiali era stata perció una scelta politica. Bartosz non si curava molto di queste questioni, ma in un attimo pensó alle famiglie di coloro che l’avevano costruita, persone che vivevano la propria quotidianitá difficile nella cittá lagunare.
Avrebbe potuto sembrare impossibile, ad un occhio esterno, che una cittá del genere offrisse margini di vita “normale”.
In quei due anni passati a Venezia da medico aveva maturato la convinzione che i veneziani avessero una ragione in più degli altri per diventare folli: come era possibile sostenere la vita di tutti i giorni, cosí frenetica, piena di urgenze, di palpiti e di banalitá, immersi nella dimensione ineffabile che si respirava ad ogni angolo? L’eternita’ della pietra e dei marmi risaltava ancora di più la caducitá dell’essere uomo.
Per non cadere in una follia inevitabile bisognava fingere che fosse finta o, più semplicemente, abituarsi, ed imparare a sospendere lo stupore e la commozione che coglievano l’animo ad ogni passo, dove a sorprendere ininterrottamente era uno squarcio di chiesa, o la vista di un campanile da un’isola in lontananza, o il profilo marmoreo della testa di leone alato.
Bisognava lasciare queste sensazioni ai turisti, che entravano a contatto con l’eterno per una settimana o due al più, e che perció avevano il privilegio di poter elaborare con calma, una volta a casa, un’esperienza di tale portata.'

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