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Dal quarto capitolo di

"LA QUIETE INDECENTE.
Una storia gotica fra Venezia e i Carpazi"

Cracovia, primavera 1897

Infiló una camicia pulita e dei pantaloni scuri, scelse con cura la cravatta da indossare e mentre la annodava ricostruí nella mente il profilo austero di Lavinia Michalczweska, il nodo di capelli sulla nuca che evidenziava un collo lungo e nobile, la maestositá silenziosa e discreta del suo incedere. Ma, improvvisamente, l’immagine cosí pura ed aggraziata di Lavinia venne letteralmente distrutta da un’orrenda visione, opposta per i sentimenti e la ripugnanza che suscitava: lo specchio venne improvvisamente invaso da molteplici gocce, come il vetro di una finestra esposta ad una violenta pioggia: si vide per un attimo felice, seminudo com’era adesso, sotto la pioggia gocciolante dagli alti pini che si ergevano fieri sui fianchi dei Carpazi Occidentali; si tuffava nel piccolo ruscello, intrepido ed incurante della pioggia e del freddo. Ma non era solo: fra le foglie inerti ammassate in superficie, come gli angeli caduti che  galleggiavano sulle acque infernali alla chiamata del loro sommo capo[1], emerse il viso rigonfio e tumefatto di una donna, i lunghi capelli fluttuanti nell’acqua come bisce, la bocca e gli occhi spalancati in un’espressione di infinita disperazione[2].
«Ula!» urló.
Scattó indietro, urtó contro la sedia che aveva sorretto i suoi vestiti puliti e cadde rocambolescamente.
Quasi paralizzato da una sorta di maledizione, oppresso e gravato dall’angoscia che la visione terrifica aveva gettato su di lui, riuscí a stento a riprendere il controllo di sè.
"Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso". [3]
Mormorava una soprannaturale voce nelle interiora sotterranee della casa Leviatano. Il mormorío sibiló nella mente bistrattata di Bartosz Kowal, come l’eco di parole sussurrate all’orecchio, mentre l’animo si appressa a risvegliarsi dal torpore del sogno e dell’inconscio.


[1] “Of that inflamed sea, he stood and called/His legions, angel forms, who lay entranced/Thick as autumnal leaves that strew the brooks/in Vallombrosa (...)” John Milton, Paradise Lost, Book I lines 300-303
[2] L’allucinazione di Kowal richiama contemporaneamente il mito greco di Medusa e il personaggio shakespiriano di Ofelia
[3] Dante Alighieri nel IX canto dell’inferno (51-57)

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