nuovo estratto da "LA QUIETE INDECENTE"

 
Lettera di Bartosz Kowal al Professor Jeronimus Von Aschen

Mogiła (Cracovia) 26 maggio 1897

"(...) Scienziati...ma si puó definire “scienza” la nostra? Qual’è il nostro oggetto di studio? L’uomo che indaga l’uomo! L’unica branca del sapere in cui il campo d’indagine non è qualcosa di esterno all’indagatore bensí...coincide con lui stesso! A pensarci bene suona come un pensiero bizzarro al limite della follía. Eppure ci vantiamo di curarli, i folli.

E’ possibile studiare l’uomo quando da noi viene richiesto il sacrificio della nostra umanitá, l’alienazione dalla nostra condizione umana?
Non è forse la follía dell’altro uno specchio in cui riconosciamo, sebbene con riluttanza, frammenti di noi stessi?
Avverto, con immensa ripugnanza, il pericolo di potermi abituare all’indecente; con lo scorrere dei giorni ho cominciato quasi a considerare “normale” che Aurelia Michalczewska viva reclusa nei sotterranei di una bella casa, dove le faccio regolarmente visita come ad una paziente qualsiasi.
Il tempo, anzichè implementare lo sdegno, lo diminuisce.
Ora capisco come sia possibile. Voglio dire: come sia possibile assuefarsi all’inaudito, normalizzare l’inaccettabile.
E’ mostruoso? Rivoltante? Sí, ma è anche un meccanismo profondamente, perversamente umano.
E credo che sia un nostro compito fondamentale, come medici e come uomini, lo sforzo continuo all’indignazione. Il ri-allenarsi a sorprendersi, il ri-appropriarsi della capacitá di provare disgusto di fronte alla grettezza di cui è capace il genere umano e dico solo il genere umano”.

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