NUOVO ESTRATTO DA "LA QUIETE INDECENTE"
"LA QUIETE INDECENTE. Una storia gotica fra Venezia e i Carpazi"
Romanzo inedito di Leni Remedios
estratto
Lettera di Jeronimus Von Aschen a Bartosz Kowal
Venezia, 2 luglio1897
“Mio caro Bartosz,
NON PARTITE! Ai vostri timori rispondo col mio: il timore
che voi stiate cedendo, e che ció che vuol essere una breve parentesi sará in
realtá il preludio dell’arresa. Compiendo cosí la volontá di Filisztyn
Michalczewski.
Comprendo la confusione che si è ingenerata nella vostra
mente: qualsiasi uomo, medico o no, faticherebbe nel reggere il peso della
storia della famiglia Michalczewski.
Vivere sotto lo stesso tetto dei suoi padroni vuol dire
respirarne la stessa aria greve, la stessa penosa energia lasciata come uno
strascico da gesta malvage e da volontá sottomesse all’egoismo.
Avete ragione: la negativitá della residenza
Michalczewski è un fatto, e prescinde dal vostro essere stato ingenuamente drogato.
Le azioni umane lasciano tracce indelebili, quasi vischiose, qualora siano
state generate da personalitá bieche.
Sono convinto, da quel che mi raccontate, che l’anima più
pura che abiti quella tenuta si trovi in realtá sottoterra: fossi in voi, per
respirare un po’ di aria buona, mi ritirerei sotto il grande olmo del parco, e
cercherei la compagnía del povero Alexander
Michalczewski.
Questo solo sarebbe sufficiente.
Anche se, da quel che non
mi raccontate, intuisco una fonte di ristoro per voi in Panienka Lavinia.
Ma per l’amor del cielo, non tornate a Venezia!
Non fatevi mordere dagli scrupoli morali, nel timore di
aumentare ancora di più il danno.
Cos’altro puó succedere di più sciagurato sotto quel
tetto, mio caro Bartosz?
Siete in gioco e dovete rimanerci.
Ricordate le parole di Krishna al principe Arjuna?
Dinanzi alla battaglia incipiente, dove si fronteggiano parenti e amici, il
principe si raccoglie perplesso in meditazione ed osserva con pena e
struggimento la scena; preso dal dubbio e dall’orrore si chiede perché debba
prender parte a tale assurditá. Ma Krishna lo ammonisce dicendogli che
rifiutandosi di combattere in quella “giusta battaglia” avrebbe mancato al suo
dovere di guerriero; e cosí lo íncita ad alzarsi e combattere.[1]
Questo solo vi dico: alzatevi, scrollatevi di dosso i
vostri inutili scrupoli e combattete la vostra giusta battaglia.
Vostro
Jeronimus Von Aschen”
[1] Bhagavad Gita, cap. II versi 33 e 37. La Bhagavad Gita, o Canto del
beato è un celeberrimo poema contenuto nel VI libro del Mahabharata, epopea
indiana e testo sacro hindu. Krishna,
auriga di Arjuna, non è altro che la manifestazione del dio Visnu. I testi
sacri hindu conobbero una straordinaria diffusione nell’ottocento grazie
soprattutto al pensiero e alle opere di Arthur Schopenauer, che importó in
Occidente molte delle idee e suggestioni della cultura orientale.
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