Un metodo pericoloso: Sabina Spielrein e il femminile rimosso della civilta'

  Saggio uscito per il numero 1 della rivista SPEECHLESS (vedi link in calce all'articolo)

“Ogni uomo porta in sé la forma intera dell’umana condizione”
Michel de Montaigne[1]

Nel 1977, in uno scantinato del Palais Wilson di Ginevra, vecchia sede di un prestigioso Istituto di psicologia, viene ritrovato uno scatolone colmo di documenti. Il ritrovamento è il frutto casuale di un paziente lavoro di ricerca capeggiato dall’analista italiano Aldo Carotenuto.
Di cosa si tratta?
Lo scatolone contiene frammenti di diario e un carteggio importante fra tre soggetti: il padre della psicanalisi Sigmund Freud, il suo discepolo Carl Gustav Jung, in seguito allontanatosi per fondare una nuova teoria e una certa Sabina Spielrein, psicanalista ed autrice del diario.
Il materiale porta ad emersione particolari finora sconosciuti sulle vicende storico-biografiche dei tre personaggi, vicende che hanno inciso in maniera inequivocabile sugli sviluppi teorici di ognuno di loro.
Ció che viene alla luce turba e sconvolge talmente il mondo intellettuale da stimolare una lunga serie di saggi, opere teatrali e cinematografiche, di cui il film di Cronemberg, “Un metodo pericoloso”, rappresenta solo l’ultima appendice.
Insomma, anche figurativamente parlando, Sabina Spielrein - dimenticata, rimossa, incompresa - emerge dal sottosuolo della civiltá, dall’inconscio della storia della psicologia, simboleggiato cosí bene dallo scantinato del palazzo ginevrino, per rivendicare la sua veritá.
Sabina Spielrein è il perturbante[2] della storia della psicoanalisi. (...)

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[1] Michel de Montaigne, Saggi, Adelphi, Milano, 1996, p. 1068.
[2] Si veda Sigmund Freud, Il Perturbante, 1919( “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”). 


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